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Chiellini, Hernanes, Dybala, Evra, Buffon: ‘allenatori’ dei mister

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Chiellini, Hernanes, Dybala, Evra, Buffon: ‘allenatori’ dei mister
Chiellini, Hernanes, Dybala, Evra, Buffon: ‘allenatori’ dei mister
Chiellini, Hernanes, Dybala, Evra, Buffon: ‘allenatori’ dei mister

Allo Juventus Center si affina un concetto di calcio che – nella sua espressione più alta – ha portato la Prima Squadra a dominare il campionato italiano negli ultimi cinque anni.

Lo si fa a tutti i livelli, da mister Allegri fino ai tecnici dei Pulcini, attraverso il continuo scambio di idee e metodi di lavoro tra staff tecnico, allenatori e perfino giocatori. Simbolo di questa fruttuosa unità di intenti e di metodo è stato, per esempio, l’ultimo appuntamento dell’annuale corso per tecnici del Settore Giovanile, che questa mattina a Vinovo ha visto in cattedra cinque calciatori freschi vincitori dello Scudetto: Chiellini, Hernanes, Dybala, Evra e Buffon.

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Giocatori, fuoriclasse di diverse nazionalità e con percorsi di crescita differenti, che di fronte alla numerosa platea di allenatori e addetti ai lavori bianconeri hanno parlato, ciascuno, della propria educazione calcistica, allo scopo di sviscerare quale livello di importanza attribuire a ciascuna fase dell’insegnamento del gioco fin dalla tenera età.

Dal Brasile all’Italia, passando per Argentina, Francia ed Inghilterra, nella sala stampa del centro sportivo si è parlato questa mattina di calcio a tutto tondo, e di come ciascuna metodologia di lavoro possa influire in maniera diversa nella crescita di ogni aspirante professionista.

Dopo mister Allegri, quindi – intervenuto a febbraio – anche i suddetti campioni hanno accettato di buon grado l’invito del professor Sassi per una speciale mattina di formazione. Parte di quella serie di incontri che, da tre stagioni a questa parte, ha il compito di aumentare il bagaglio culturale degli allenatori e trasmettere un metodo di allenamento comune. Il METODO Juve.

Quali sono dunque le priorità per formare al meglio i campioni del futuro? Ecco i concetti chiave espressi da ciascun intervento, riassunti per voi in esclusiva da Juventus.com

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«Da grandi le basi tattiche si imparano senza problemi. Ecco perché, secondo me, l’aspetto principale per un ragazzo che deve arrivare in prima squadra è il controllo di palla, ovvero quella tecnica di base che ti permette di rubare quel secondo di pensiero all’avversario che risulta decisivo anche in categorie maggiori».

«Sapere muoversi in campo, oltre al controllo, è un altro aspetto su cui si può insistere tanto. Secondo me una delle mancanze è il passaggio alla zona in età troppo tenera: se i concetti di distanza tra reparti e giocatori si possono imparare anche in età avanzata, la tecnica di base matura proprio in questi anni».

«Ad agosto compirò 32 anni, eppure sono convinto che ogni giorno si possa lavorare per migliorare. Negli ultimi anni abbiamo cambiato allenatore, ma da parte nostra c’è stata applicazione: per me, rimettersi sempre in gioco per migliorare e cercare di seguire quello che chiede il tecnico è uno stimolo. Così come crearsi delle sfide e cercare di superarle giorno dopo giorno».

«Infine, è importante educare i bambini, non viziarli troppo e dar loro una corretta cognizione della realtà. Siamo consapevoli della nostra importanza come figure di riferimento, anche nelle piccole cose. Dal “buongiorno” dato al mattino, anche a chi di loro è magari più timido, fino all’aiutarli in campo quando si allenano con noi, provando a dar loro consigli tecnici»

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«La mia esperienza nel Settore Giovanile si sviluppa nel nord-est del Brasile, giocando principalmente a calcetto a cinque dagli 8 fino ai 14 anni. Quindi c’è stato il passaggio al calcio a undici, per due anni a Recife, prima del trasferimento a Sao Paolo, dove sono rimasto fino ai 20 anni e, in seguito, per 5 stagioni come professionista»

L’esperienza del regista brasiliano muove dunque le basi da un’educazione calcistica non specifica nei primi anni, incentrata principalmente sulla tecnica individuale – pilastro su cui si basa il calcio a cinque. Una metodologia comunque propedeutica e formativa, soprattutto nella ripetizione dei gesti e dei movimenti di base («perché il cervello ragiona in modo molto specifico»)

«Mio papà, che è stato il mio primo allenatore, mi insegnava da piccolo a calciare con entrambi i piedi. Quando avevo 12 anni poi volevo diventare mancino a tutti i costi, e imitando il mio idolo calcistico Felipe. Facevo i suoi stessi movimenti, aumentandone progressivamente ritmo e velocità, copiandone i gesti. Giocavo perfino come terzino sinistro, e ho sempre fatto tanti allenamenti, da solo, provando il tiro. A San Paolo a 15-16 anni ero piccolo e magro, non avevo forza: giocare a calcio è stato dunque duro fisicamente. Chiedevo consigli agli allenatori su come migliorare la forza, e ora so cosa mi serve».

Importante, per il Profeta, è la personalizzazione dell’allenamento, man mano che si sale di livello, in quanto «ogni giocatore è un mondo a sé. «In ogni squadra dovevo fare sempre qualcosa di più, perché magari l’allenamento mi stancava ma non mi allenava».

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La Joya ha invece raccontato di un’esperienza in un contesto – quello argentino – non facile, in cui si «punta tantissimo sul singolo, sui giocatori forti: quelli che si intuisce potrebbero arrivare in una grande squadra».

«Io non ho fatto mai forza, per esempio, e non ero mai andato in palestra. La tecnica, il dribbling e una certa libertà di movimento erano tutto. Poi è arrivato un allenatore ed è cambiato tutto: ha cercato semplicemente di fare giocare tutte le formazioni in maniera uniforme, dai più piccoli alla prima squadra, e questo ci ha aiutato a crescere tutti. Me compreso, che non ero mai stato notato ma sono stato il primo ad esordire tra i grandi».

Un metodo comune, dunque: proprio come quello bianconero, teorizzato e praticato a Vinovo dall’Attività di Base fino ai più alti livelli.

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Il consiglio dell’esperto laterale francese è stato invece quello di assecondare l’indole del ragazzo, rafforzando il carattere del giocatore fin dalla più tenera età.

«Ho iniziato a giocare per strada, senza nessun aiuto», ha detto l’ex Manchester United. «Questo mi ha permesso di aver un carattere forte, che mi ha consentito di essere qui oggi. I centri di formazione per me devono aiutare i bambini a crescere a livello mentale, perché se non hai la testa non vai da nessuna parte. Dando sì qualche direzione, ma anche lasciando qualche libertà. Non vorrei mai che si limitassero le qualità di un giovane: se un giocatore vuole dribblare, deve farlo per la squadra. Bisogna dunque stare attenti a questo: non fare perdere le giocate a chi ce le ha».

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Last, but not least, il portiere più forte della storia. Fonte inesauribile di consigli per i tecnici bianconeri, vista la lunga e premiata carriera. Sacrificio, empatia e responsabilità sono stati i punti cardine del suo intervento, l’ultimo della mattina.

«Il percorso del settore giovanile è il più importante, per un professionista. Diventato grande, quando mi capita di mettere in dubbio la capacità di migliorarmi nel mio lavoro, torno indietro con la memoria ai tanti sacrifici fatti da ragazzo. A Parma vivevo tutto di corsa, in giornate piene di impegni in cui non avevo neanche il tempo necessario per fare le cose più basilari. Ci allenavamo nei campi di ghiaia, nel nebbione, al gelo. Questo pensiero, oggi, mi dà forza quando mi sento più appagato»

«Le scelte fatte a quell’età diventano decisive. Io mi sono fatto guidare dall’esperienza dei miei genitori, fondamentali nella crescita e nell’educazione di ogni calciatore. Oggi forse le troppe comodità iniziali rischiano di far crollare un ragazzo alle prime difficoltà, alle prime sofferenze vere. Il consiglio per voi allenatori, dunque, è questo: siate empatici, trasmettete fiducia, ma anche un certo qual timore reverenziale. Da ragazzo, per esempio, mi faceva piacere capire che c’era una guida capace di prendersi la responsabilità di non essere per forza accondiscendente».

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