Un giro di orologio, in cui le ore sono decenni, ci accompagna attraverso una storia unica, nata per gioco, su una panchina, tanto tempo fa...
LA NONA ORA (1977 – 1986)
Come vi piacerebbe sentirlo fischiare. Lo faceva con le dita: pollice e medio in bocca e il sibilo si alzava fin sopra l’ululato dello stadio Comunale. E vi assicuro che quello stadio quando ruggiva faceva davvero paura.
Ma lui non si scomponeva, fischiava e vinceva, vinceva e fischiava. Fu l’ennesima intuizione di Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni, detto prima Gioan e poi solo Trap, regalò al popolo bianconero alcune delle emozioni più belle di sempre.
Tra cui il 17esimo scudetto con 51 punti su 60 (la vittoria valeva 2) e la contemporanea conquista del primo trofeo internazionale, la Coppa Uefa 1977. Chi c’era racconta che nella partita di ritorno della finale a Bilbao si vissero i momenti più intensi che lo sport può regalare. Sofferenza, sudore, determinazione, gioia, estasi. Una rosa tutta italiana, la cui gran parte l’anno successivo volò in Argentina a giocare un Mondiale che il dio del calcio restituì 4 anni dopo. Perché l’Azzurro più bello rimase quello del 1978. Con 9 juventini in campo. Che la maglia azzurra abbia una double face bianconera è risaputo da allora.
Gioan non si tolse le dita dalla bocca neppure nel 1983, quando al resto del popolo bianconero venne meno il fiato. Cari Enrico e Eugenio, non potevate sapere che avreste creato un giuoco che sarebbe diventato passione. E perciò talvolta dolore acuto. Felix Magath era un roccioso tedesco dell’Amburgo, ma dopo il gol più casuale che bello segnato nello 0-1 della nefasta Atene sublimò nel concetto stesso di sconfitta inopinata e, pertanto, tremendamente dolorosa. Quella che fa godere gli avversari, una sorte che a noi capita fortunatamente assai di rado.
Non bastò neppure avere al nostro fianco colui che cambiò per sempre al popolo bianconero la percezione della maglia numero 10 e per quattro stagioni fu il nostro unico Re, Michel “le Roi” Platini.
Il dolore sarebbe diventato disperazione esattamente due anni dopo: 29 maggio 1985, stadio Heysel di Bruxelles. Trentanove angeli da quel giorno vegliano sulla vostra creatura e ricordano al mondo l’assurdità di perdere la vita in uno stadio. Da quel giorno la Juventus non è più la stessa, da quel giorno in campo non siamo più solo 11.