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Assemblea degli Azionisti, il discorso del Presidente

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Assemblea degli Azionisti, il discorso del Presidente
Assemblea degli Azionisti, il discorso del Presidente
Assemblea degli Azionisti, il discorso del Presidente

L'Assemblea degli Azionisti della Juventus, dopo la visione di un video dedicato alla squadra e al club, si apre con un momento di raccoglimento in ricordo di Giampiero Boniperti, scomparso lo scorso 18 giugno. Successivamente prende la parola il Presidente Andrea Agnelli. Di seguito il suo discorso agli Azionisti.

Benvenuti all’Allianz Stadium, la nostra casa, la casa della nostra Squadra.

Se non sbaglio, quest’anno, siamo gli unici ad aver organizzato la nostra assemblea annuale in presenza fisica e questo mi fa molto piacere, perché essere unici è un segno distintivo di questa società. L' unicità ci ha visto essere i primi vincitori di tutte le competizioni internazionali, i primi a vincere la prima stella sul campo, la seconda stella sul campo, la terza stella sul campo. Ricordo una battuta di mio zio, l’Avvocato, che diceva anni fa: «La vera sfida con le milanesi sarà tra chi arriverà prima: noi a conquistare la terza stella o loro la seconda stella». In questa unicità, oggi dimostriamo un grande rispetto per i nostri soci, per voi azionisti, ed essere rispettosi è un altro segno distintivo di questa società.

Durante l’assemblea odierna, tratteremo argomenti di particolare rilevanza: porteremo in approvazione un bilancio al 30 giugno del 2021 con una perdita di 209,9 milioni ed è quindi giusto spiegare ciò che sta accadendo alla società.

Rinnoveremo il consiglio di amministrazione e sottoporremo alla vostra approvazione una nuova proposta di aumento di capitale sociale per un importo di 400 milioni, che segue l’aumento di capitale approvato nel settembre del 2019 per 300 milioni. Mi fa piacere avere l’opportunità di illustrarvi e discutere con voi la genesi di queste le proposte e dunque, in sintesi, illustrarvi cosa ha fatto e, ancora più importante, cosa farà la Juventus.

Per comprenderlo a mio giudizio è utile avere un contesto del quadro macroeconomico dentro il quale la società si è mossa negli ultimi vent’anni, perché si tratta di un quadro economico estremamente sano, in conflitto tutte le voci e tutte le tesi di malcontento che sentiamo all’interno della nostra industria.

Il fatturato aggregato del settore agli inizi degli anni duemila, nel 2001, era di 6 miliardi circa e le previsioni ante Covid avrebbero portato il fatturato a circa 24 miliardi, quindi una crescita tripla in circa vent’anni. Una crescita che era completamente resiliente e inelastica a qualsiasi accadimento avvenisse nel mondo. Se prendiamo la crisi dei mutui subprime alla fine degli anni duemila, o la crisi del debito pubblico, o le crisi interne al settore come lo scandalo della FIFA del 2015-2016... in tutto questo l’industria aveva avuto una crescita composta annua del 12%. E questo faceva pensare che non potesse esistere una situazione capace di mettere in discussione il modello di business. Ciononostante, in tanti anni che ormamai presiedo questa società, ho sentito parlare tante volte di insoddisfazione da parte dei vari operatori del settore.

Parallelamente a questa crescita, c’è stata un’ incredibile inflazione nella valorizzazione dei giocatori e nei valori dei trasferimenti. Elementi questi che fanno da un lato sognare, ma dall’altro hanno notevolissimi impatti sui bilanci della nostra Società.

La FIFA registra tutte le transazioni a livello globale dal 2012 e siamo passati da 2,7 miliardi nel 2012, ai 7,4 miliardi del 2019, con un momento estremamente inflattivo, con la cessione del nostro amato Pogba, lo dico sinceramente, al Manchester United nel 2016. Abbiamo quindi visto un’imponente crescita di operazioni al di sopra dei 50 milioni, e un valore complessivo che passa nell’arco di 3, 4 anni da 300 milioni a circa 1 miliardo e mezzo. Evidentemente c'erano delle aspettative di ritorno sull'anticipo degli investimenti e questa dinamica, di cui vediamo le conseguenze ancora nell’esercizio in corso, ha mosso tutto il mercato. È quindi giusto vedere cos'ha fatto la Juventus in questi anni, muovendosi in tale contesto macroeconomico: si ha la tendenza a giudicare l’ultimo esercizio, così come l’ultima partita, ma noi siamo figli di una dinamica più grande che, per quanto riguarda la vita della società, poggia le basi nei cicli precedenti e deve guardare ai cicli successivi. Tralasciando il percorso sportivo, nel ciclo 2014-2018, avevamo conseguito degli eccellenti risultati anche fuori dal campo e avevamo un fatturato che era costantemente sopra i 400 milioni. Se guardiamo i 3 indicatori chiave, l’EBITDA CORE, il margine operativo senza le plusvalenze da trasferimenti di giocatori, l’EBITDA, con trasferimento di giocatori, o l’EBIT, in questo periodo i risultati erano estremamente positivi: 220 milioni nel primo caso, 450 nel caso dell’EBITDA, e 105 milioni di EBIT cumulato, che ci portava, in quel periodo a registrare profitti netti per 30 milioni.

Sulla base di tutto ciò, ricorderete l’assemblea che ci portò ad approvare il bilancio di esercizio nel 2019 e l’aumento di capitale da 300 milioni, con degli obiettivi precisi. Ricorderete che, in quel contesto, dicevo che fosse “Time to think big”, tempo di pensare in grande: avevamo intrapreso un percorso che ci aveva portato ad avere su questo campo il miglior giocatore al mondo, Cristiano Ronaldo, c’era grosso fermento all’interno delle istituzioni per il futuro delle competizioni sportive e venivamo da un ciclo estremamente positivo. Quindi abbiamo detto: «Perfetto, questo è il momento di investire e di iniziare un piano espansivo che ci porti a consolidare i risultati di quegli anni». Attraversiamo così la stagione 19/20, completiamo l’aumento di capitale nel gennaio del 2020 e, come tutti voi ben sapete, nel febbraio del 2020 il mondo si ferma per l'arrivo del Covid. Il Covid arriva e colpisce tutti. Duramente.

Entriamo quindi in un contesto di crisi pandemica, una crisi che mi ha lasciato alcune riflessioni riguardo l’impatto sulla società, sul sistema sanitario, in termini di vite. Un elemento che mi ha fatto molto riflettere è stato l’utilizzo della parola “quarantena”. Se penso alla mia giovinezza, a quando ero bambino, la parola “quarantena” sostanzialmente non esisteva. Oggi i miei figli, quando si muovono, non necessariamente quando vanno all’estero, si domandano quali sono le regole che devono osservare quando arrivano anche solo in un altro comune all’interno del nostro Paese. E pensare che dei bambini di sei o sette anni riflettano su cosa sono le conseguenze di un trasferimento anche breve, fa capire quale sia stato l’impatto di questa pandemia sulla società. C'è un altro elemento, importante nel contesto sociale di oggi: al di là di avere il Green Pass, perché altrimenti non avreste potuto accedere all'Assemblea, credo e auspico che la maggior parte di voi sia vaccinata. E’ la cosa giusta da fare, nel rispetto e nella tutela della propria salute, ma anche e soprattutto nel rispetto della salute di chi ci sta accanto e delle classi più fragili. Io sono vaccinato, Deniz mia moglie, è vaccinata, mia figlia Baya, che ha 16 anni, è vaccinata, e quindi credo che sia molto importante utilizzare oggi questo momento per ricordare a tutti l’importanza di vaccinarsi.

Venendo a noi, penso all’attività sportiva dalla ripresa, quindi dal maggio del 2020, per tutto il campionato scorso: personale tesserato e non tesserato ammalato, stadi senza spettatori... Abbiamo giocato 60 partite senza pubblico, dal maggio del 2020 fino all’inizio di questa stagione. E 60 partite, vi assicuro, sono un numero incredibile. Tamponi continui, costanti, ogni due giorni quantomeno per chi viveva in questo contesto; le bolle, io non facevo parte del gruppo squadra ristretto e quindi quando la squadra andava in bolla, non potevo neanche sedermi insieme ai 30-40 che eravamo e vedere delle partite da solo è stato veramente vivere un calcio irreale. Tutte le linee di ricavo sono state messe in discussione da questa crisi pandemica, l'incredibile crisi di liquidità all’interno del sistema ha poi portato ad una crisi politica e istituzionale. C'è quindi stato il lancio della Superlega nell’aprile di quest’anno, con le conseguenze che ci sono state a livello di ECA e UEFA, individualmente per i ruoli ricoperti e per Juventus, Real Madrid e Barcellona, con procedimenti cominciati, poi annullati da parte di UEFA e con l'attesa, oggi, di un pronunciamento da parte della Corte di Giustizia Europea.

Da questo punto di vista i discorsi che uno può fare sono evidentemente tantissimi, io non vi tedierei su tutto quello che è stato l’impatto a livello di fatturato e margine operativi per la Società, ma quello che sicuramente manca, e che sarà l’ultimo tassello per quanto riguarda la vera analisi di questa crisi all’interno del settore del calcio, è il totale ridimensionamento in questi due anni sul mercato dei trasferimenti. Un mercato dei trasferimenti da 6,5 miliardi del 2019 per quanto riguarda le società europee. Il numero è leggermente inferiore a quello che vi ho detto prima, perché l'altro teneva in considerazione anche le attività delle altre confederazioni. Quindi, se consideriamo 6,5 miliardi in Europa, 7,4 nel mondo e dividiamo i 900 milioni di differenza su CONCACAF, CONMEBOL, CAF, AFC, OFC, ecco, questo ci dà la dimensione della rilevanza del nostro comparto all’interno del mondo. Nel 2020 abbiamo consuntivato un mercato di trasferimenti per 4 miliardi, nel 2021, quest’estate, per 3 miliardi. Questa costrizione incredibile avrà le sue ripercussioni soprattutto sulle squadre medio-piccole, che vivono del mercato dei trasferimenti, in quanto le loro attività, più tradizionali, come gli incassi da stadio, gli incassi commerciali, sono decisamente inferiori e quindi il loro modello di business di sviluppatori di talento, verrà messo in crisi con il consuntivo del bilancio del 21/22. Auspicabilmente, se si ritornerà ad una piena normalità in questa stagione, al termine di questa, come settore calcio potremo noi consuntivare gli effetti del Covid, che avrà impattato su tre stagioni.

Il tema è, per guardare avanti in questo contesto, che cosa farà la Juventus? Che cosa ha fatto e quale è stato il ciclo di risultati tra il 2014 e il 2018? Che cosa è stato l’impatto del Covid sull’industry? Abbiamo già comunicato l’impatto del Covid sulla nostra società: l’impatto degli effetti diretti e indiretti è di 320 milioni, con un 40% di questi effetti che si riverberà sull’esercizio in corso. Quindi noi andremo a quantificare gli effetti del Covid al termine di questa stagione.

La vostra società, la Juventus, era venuta a fine del 2019 in questa assemblea a chiedere l’approvazione di un piano di investimenti che stava iniziando, appena prima che il lockdown colpisse il pianeta intero.

Il fatto che da quel momento in poi si sia parlato quasi esclusivamente di Covid e oggi questo argomento stia auspicabilmente passando di moda, non significa che ciò che ha lasciato il Covid sia stato cancellato.

Il piano di investimenti che avevamo proposto nel 2019 era credibile e i suoi effetti si sarebbero verificati nel medio termine. Un piano espansivo evidentemente porta con sé una previsione di perdite nei primi anni di attuazione di quel piano. Ma quel piano era credibile ieri ed è credibile oggi e ha le carte in regola per ripartire, grazie all’aumento di capitale che sottoponiamo oggi alla vostra attenzione.

È evidente, però, che delle tesi sottostanti al principio che avrebbe guidato il piano, si sono modificate. Passiamo quindi dal “Time to think big”, a un percorso di credibilità, quindi a un “path to credibility”. E questo “path to credibility” va declinato su cinque dimensioni principali, perché la Juventus deve avere credibilità sulla sostenibilità finanziaria della società nel lungo termine.

Per rafforzare questo principio di credibilità della sostenibilità finanziaria nel medio termine, è intenzione di questa società convocare un “Investor day” nel corso del 2022, in cui segnalare una serie di target e di kpi che possano permettere a voi azionisti, agli altri investitori o a chi ci osserva, di valutarci su obiettivi precisi che andremo a definire nei prossimi mesi.

Sicuramente tutto ciò deve passare attraverso una dimensione gestionale. Questa industria ha la cattiva abitudine di misurarsi sul fatturato, ma la continua ricerca di maggior fatturato non necessariamente significa eccellenza gestionale ed operativa. Quindi ci focalizzeremo sulle “middle lines”, a maggior margine per la Società. Da questo punto di vista c'è famoso un modo di dire: “Il fatturato è vanità, il profitto è sanità e la cassa è Re”, o Regina in italiano; in inglese è: “Cash is King”. Dovremmo focalizzarci non sulla ricerca del fatturato ma sulla ricerca del profitto. Con il nuovo Consiglio inseriremo una terza dimensione costituita da un Comitato di ASG. Sono trend in corso da parecchi anni, la Società ha fatto molto e la pubblicazione del bilancio di sostenibilità che vi è stato consegnato anche oggi, ne è una testimonianza. Vogliamo però integrare sempre più le politiche ASG all’interno delle strategie societarie e quindi con il nuovo Consiglio, istituiremo un Comitato ad hoc, che avrà il compito, nel primo anno, di valutare ciò che è stato fatto, e di inserire queste tematiche sempre più all'interno delle politiche della Società. Ci sarà una quarta dimensione, quella politica, e quindi dovremo continuare ad essere all’avanguardia, pionieri nella definizione delle politiche sportive dell’industria. Da questo punto di vista, sfido chiunque a confermare che l’attuale sistema del calcio professionistico sia soddisfacente. Io sento lamentarsi veramente chiunque. Quello che trovo sorprendente è che ogni proposta, ogni tentativo di riformare questa industria venga accantonato, sia esso relativo alle competizioni, alla governance o allo sviluppo commerciale. Nella nostra Lega, ma questo vale ovunque, se si attuano politiche di sviluppo commerciale, queste soddisfano maggiormente i grandi club invece dei piccoli, o i piccoli invece dei grandi. Le riforme di governance non incontrano soddisfazione perché spostano il centro decisionale da un interlocutore all’altro. Se si pensa alla riforma delle competizioni, si dice sempre che ci sono troppe partite, e che quindi si dovrebbe ridurre il numero di squadre. Questo trova il favore di alcuni e lo sfavore di altri. Tutto questo perché? Perché qualsiasi proposta, avendo degli interlocutori o degli attori così disomogenei tra loro, non potrà mai trovare soddisfazione all’interno dell’intero sistema. E il meccanismo di governance che abbiamo oggi, non permette a chiunque di assumere la leadership. Chi ha i voti non ha il peso e chi ha il peso non ha i voti. Io non posso che ricordare che per dieci anni ho collaborato più che lealmente per cambiare un sistema troppo instabile che non valorizza appieno il valore commerciale, non tutela gli investitori, cioè voi, e che ha abbandonato il puro merito sportivo dal 1991. In questo caso mi riferisco alla competizioni internazionali, in quanto quando si è deciso che la quarta classificata di un paese come l’Italia ha maggiori diritti della squadra un campione in un'altra nazione. Questa non è una logica meritrocatica, è una logica commerciale.

Quest’anno Juventus, Real Madrid e Barcellona non hanno vinto il campionato domestico, ma tutte e tre partecipano alla Champions League. Tante squadre, che hanno vinto il loro campionato domestico, oggi non partecipano alla Champions League. Logiche commerciali hanno dettato questo. E per chi lo ha vissuto, ricorderà che in quel momento si gridava allo scandalo: “Non c’è più il merito sportivo”, “Non è più il valore sano del calcio”. In realtà abbiamo creato, da quel momento ad oggi, la Champions League, che oggi è definita da chiunque una delle migliori competizioni sportive al mondo. Evidentemente le decisioni che sono state prese alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 hanno portato, al netto di quelli che erano i commenti in quel momento, ad un cambiamento e ad avere una delle migliori competizioni.

La nascita della Super Lega, che aveva per altro due condizioni sospensive che non sono state debitamente prese in considerazione come il raggiungimento di un accordo con UEFA e FIFA o la possibilità di organizzare una seconda o terza competizione, è stata la constatazione, non da parte di 3, ma da parte di 12 club, delle obsolete impalcature su cui si regge il calcio, che attualmente sta rifiutando ogni cambiamento per mantenere una classe politica che non rischia, non compete, ma vuole decidere e incassare.

A mio giudizio, la slealtà va cercata in chi ha sempre rifiutato il dialogo sulle riforme. Non mi voglio arrendere, non mi sono arreso ieri, non mi voglio arrendere oggi, non mi arrenderò domani. Il sistema ha bisogno di un cambiamento e la Juventus vuole farne parte, ma non posso che ribadire, una volta di più, che sarà solo ed esclusivamente attraverso il dialogo costruttivo che si potrà arrivare ad una soluzione soddisfacente per tutti.

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La quinta dimensione, e torno al nostro percorso di credibilità, deve essere sportiva. E per sportiva intendo il mantenimento della competitività della Juventus. Noi abbiamo oggi quattro dimensioni sportive, che andranno valutate nei prossimi mesi per un loro nuovo posizionamento: tutta la parte del settore giovanile. L’Under 23 che, con il direttore Mannae l’allenatore Zauli, è perfettamente integrata nella filiera della Prima Squadra: stiamo incominciando al quarto anno a vedere i frutti di questa attività, penso ai Fagioli, ai Frabotta, ai Dragusin, che dopo un anno intero aggregati alla Prima Squadra oggi sono in prestito, auspicabilmente per tornare ad occupare un posto nel roster.

Le Women, gestite in maniera impeccabile da parte di Stefano Braghin, hanno vinto il loro quarto scudetto consecutivo sul campo, e per questo un ringraziamento va sicuramente a Rita Guarino, che ha gestito questi primi quattro anni e ha saputo infondere alla squadra la convinzione di vincere. L’accesso ai gironi della Champions League femminile che Montemurro ha conseguito sul campo quest’estate e l'aver giocato in questo stadio qualche settimana fa col Chelsea, vice campione d’Europa, con circa 18 mila spettatori, sono un segno che questo movimento sta realmente acquisendo importanza. Ci abbiamo creduto fin da quando abbiamo iniziato e oggi vediamo che tante altre squadre in Italia stanno seguendo il nostro esempio. Noi in realtà abbiamo seguito il percorso di altre società in Europa e in Italia siamo di nuovo stati i primi.

Arrivando alla Prima Squadra, i risultati di questi anni sono stati straordinari e per certi aspetti credo irripetibili, ma non mi aspetto dal popolo juventino, anche a nome di tutte le donne e gli uomini della Juventus, né gratitudine, né appagamento. Non me li aspetto perché io sono juventino dalla nascita e so che non posso pretendere dagli altri ciò che non posso garantire neanche io. Però penso che non possa venire meno la fiducia della gente nei confronti di Pavel Nedved, che ha seguito tutto questo percorso dall’inizio, di Maurizio Arrivabene, qui per la prima volta oggi, di Federico Cherubini e soprattutto del nostro allenatore Massimiliano Allegri e di un gruppo di calciatori che sta crescendo.

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Questo discorso vale anche per me e vale per le donne e gli uomini della Juventus. Dal 2010 ad oggi le altre società italiane che hanno alzato almeno un trofeo in questi anni si contano sulle dita di una mano e questo deve far riflettere. Il tema della credibilità a cui facevo riferimento prima è però fondamentale per alimentare la nostra passione quotidiana, che vi garantisco, non è solo immutata, ma se possibile, in questi momenti di difficoltà generale, è addirittura cresciuta. In questo contesto, quindi, dobbiamo lavorare come un corpo unico, sapendo che la squadra e il gruppo vengono prima di tutto e di tutti. Lo dicevo anni fa, in occasione di un Awareness Festival in cui sono andato a Milano, e continuo a sostenerlo oggi: siamo tutti utili ma nessuno è indispensabile. E qui faccio una riflessione su cosa ha significato avere il più grande giocatore al mondo nella nostra squadra: è stato un onore e un piacere e se pensiamo a quello che è stato il suo contributo sul campo non possiamo che applaudire simbolicamente Cristiano e ringraziarlo per averci fatto gioire così tanto. L’unico peccato, forse, è stato vivere un anno e mezzo su tre di Cristiano senza pubblico allo stadio. Aveva però ragione Morata quando a pochi giorni dalla partenza di Cristiano verso Manchester, diceva che è la maglia della Juventus che chiede senso di responsabilità, non i compagni di squadra. Io non sono più o meno responsabile in base ai colleghi che ho in ufficio, io sono più o meno responsabile per quello che significa la società per la quale lavoro. E la Juventus Società, la Juventus Football Club è più grande di chiunque, abbia avuto l’onore di partecipare al suo percorso dal 1897 ad oggi. La Juventus viene prima di qualunque persona.

In questo contesto, come vi dicevo, di grandi difficoltà, dobbiamo tornare ai nostri valori, i valori della Juventus, i valori che ci vengono dettati da questa città, una città industriale: lavoro, abnegazione, sacrificio e disciplina. E questo lo vogliamo vedere sia in campo che fuori dal campo, perché se penso, come vi dicevo, alla squadra Juventus, questa è composta da 1.700 persone che lavorano quando si arriva ad organizzare un evento partita. Sono queste stesse 1.700 persone che ci devono portare a conseguire i risultati fuori dal campo e sul campo, seguendo, dei principi.

Di recente mi sono imbattuto in una definizione sul significato della vita di Oriana Fallaci. Secondo lei i sensi della vita sono quattro, e per me si ristorvano perfettamente nelle persone che operano per la Juventus. E sono amare, lottare, soffrire e vincere. Dobbiamo amare la Juventus, dobbiamo lottare per la Juventus, dobbiamo soffrire per la Juventus, ma soprattutto dobbiamo vincere per la Juventus. Andrea Agnelli, 29 ottobre 2021

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