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A scuola di leadership con Chiellini

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A scuola di leadership con Chiellini
A scuola di leadership con Chiellini
A scuola di leadership con Chiellini

Che cosa ci fanno Giorgio Chiellini e una platea di manager allo Juventus Stadium? Parlano di leadership, delle chiavi per raggiungere gli obiettivi più ambiziosi, del concetto di squadra, di ruoli e responsabilità.

Temi importanti insomma, che contano nel mondo dello sport come in quello del lavoro. Ecco spiegata la presenza di Giorgio questa sera nell’evento-workshop “Randstad Perfect Team”, organizzato allo Stadium da Randstad, secondo operatore mondiale nelle risorse umane e Partner ufficiale di Juventus.

Il difensore ha raccontato la sua esperienza, la sua carriera sportiva e il suo ruolo all’interno dello spogliatoio bianconero, di cui è uno dei leader indiscussi.

Chiellini ha seguito il filo logico degli undici temi che compongono il “Perfect Team”: talento, passione, allenamento, ruolo, spirito di gruppo, leadership, esperienza, avversario, concentrazione, equilibrio e destino.

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«Nella vita ci sono vari step. All'inizio ero bravino per la mia età, ma è durante l'adolescenza che si capisce il valore di un giocatore, con un processo graduale. Io non sono dotato di classe sopraffina, quindi nel mio caso è servita una predisposizione fisica, ma anche tanto lavoro».

«È la base di tutto, insieme all'impegno. Certo, non può essere costante perché ogni giorno è diverso, ma è come un fuoco che si alimenta e rimane sempre vivo. Anche perché, specie in un lavoro come il mio quando si spegne la passione, vuol dire che hai finito».

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«Io parlerei di impegno, costanza, volontà di migliorarsi ogni giorno. E questo in tutti gli aspetti della vita. Io sto cercando i terminare gli studi di Economia: una sfida personale che mi aiuta a migliorare e a crescere come uomo. Quando avevo 16, 17 anni e i miei amici uscivano mentre io ero in ritiro, ho vissuto i momenti in cui l'impegno pesava di più. Poi crescendo ci si rende conto che si ha la fortuna di vivere un sogno e che non durerà all'infinito».

«Ognuno dev'essere bravo a trovare quello più adatto. All'interno di una squadra ci sono quelli in campo, certo, ma c'è anche la gerarchia, dove conta l'educazione e il rispetto, nei confronti di tutti. Perché senza le persone che magari hanno meno visibilità di noi, non riusciremmo a dare il meglio».

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«Qui alla Juve c'è una società dove la cultura del lavoro è radicata da tanti anni e si tramanda di generazione in generazione. E poi c'è un gruppo di italiani che anno dopo anno aiuta a mantenere questa mentalità. Essere amici e condividere esperienze fuori dal campo aiuta».

«Ho avuto tanti allenatori e tutti hanno caratteri forti. C'è chi scherza di più, chi meno, qualcuno più morbido, altri più duri, ma la leadership fondamentale perché senza nessun gruppo di lavoro può rendere al massimo».

«È importante, anche per far crescere i più giovani, con qualche parola buona, qualche rimprovero, facendo capire come si diventa uomini nel nostro ambiente. L'esperienza più bella l'ho vissuta a Livorno, quando avevo 17 anni. Ero in un gruppo in cui mi hanno insegnato tutte le regole dell'essere calciatore: da Osvaldo Iaconi, l'allenatore, a Protti, Lucarelli, Piovani, che per me è stato un fratello maggiore. L'esperienza ti aiuta a vivere le situazioni e a fare meno errori, non tanto quelli tecnici, quanto quelli comportamentali. L'importante non è non sbagliare, ma non rifarlo».

«La conoscenza dell'avversario è fondamentale, perché permette di capire le sue caratteristiche. Se pensiamo al calcio, ogni giocatore ha dei movimenti, delle situazioni preferite e si cerca di impedirgli di sfruttarle. Come si marca Cristiano Ronaldo? Si evita di farlo partire. Messi? Si fa il segno della croce...».

«Ogni persona si concentra a suo modo. In una squadra c'è chi ride e scherza fino a un minuto prima di scendere in campo, chi già da un'ora prima di arrivare allo stadio non dice una parola... Io mi concentro prima e magari in spogliatoio parlo delle situazioni che si potranno verificare in campo, ma c'è anche chi sta con le cuffie fino all'ultimo. Come si fa rimanere concentrati e a non pensare agli errori commessi durante la partita? Con l'esperienza e ripartire facendo cose semplici. I cori? Durante l'azione è come se fosse tutto ovattato, non sento nulla. Quando poi il pallone esce e il gioco si ferma, allora senti anche il contorno».

«Una vita felice e non sregolata aiuta. A 31 anni non faccio la vita che facevo a 23, ho altri interessi e necessità. Noi siamo fortunati ad avere una città e una società che aiuta a mantenere l'equilibrio. È molto importante avere un equilibrio negli alti e nei bassi, sia quando va tutto bene che quando attraversi momenti negativi».

«Ognuno è padrone del suo. La fortuna e la sfortuna ognuno se la cerca. Poi ognuno può arrivare ad un determinato livello, l'importante è che sia il proprio massimo».

La squadra non è la semplice sommatoria delle persone che la compongono, ma è qualcosa di più: un amalgama che si costruisce con spirito di gruppo, con una leadership autorevole che definisca ruoli e responsabilità, in modo da valorizzare il talento e raggiungere, con costanza, passione, concentrazione e allenamento (fisico e mentale), gli obiettivi più ambiziosi. In campo e nel lavoro.

Queste sono l’esperienza e la lezione che arrivano da anni di trionfi bianconeri. E se lo racconta Chiellini, potete credergli.

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