«Da utopia a realtà che cresce ogni giorno»
Silvia Dema è una di quelle persone che hanno creduto in questo sogno prima che diventasse realtà.
Quando ha conosciuto il progetto, nel 2014, Juventus One non esisteva ancora. C'era un prototipo sportivo culturale che ha costituito il modello iniziale da cui tutta questa rivoluzione prese il via: si chiamava Pinerolo FD! Eppure lei già vedeva ciò che sarebbe potuto diventare: una squadra vera, un luogo in cui le persone con disabilità potessero esprimersi attraverso lo sport e sentirsi parte di qualcosa di più grande.
«All’inizio sembrava un’utopia», ricorda. «Oggi è una realtà che cresce ogni settimana, perché non abbiamo mai smesso di sognare qualcosa di meglio.»
Laureata in Scienze dell’Educazione ed ex calciatrice, Silvia è riuscita a unire due mondi che per lei sono sempre stati inseparabili: il calcio e l’educazione.
Allenatrice e oggi dirigente dell’associazione, si occupa di inserimenti lavorativi di persone con fragilità psichiche e coordina il settore giovanile, seguendo anche le famiglie dei ragazzi.
Nei suoi occhi c’è sempre lo stesso obiettivo: dare fiducia, creare opportunità, alimentare i sogni di chi spesso non ha mai potuto sognare davvero.
La sua idea di inclusione non si ferma al campo: si estende alla scuola, al lavoro, alla vita di tutti i giorni.
Ogni colloquio, ogni allenamento, ogni incontro con una famiglia è un tassello di quel progetto che, dieci anni fa, sembrava irraggiungibile.
Oggi Juventus One è una realtà consolidata anche grazie a lei, che ha saputo trasformare l’utopia in pratica quotidiana.
E continua a farlo, giorno dopo giorno, con la stessa convinzione con cui è entrata in campo la prima volta: che ogni persona meriti il suo spazio, la sua squadra e il suo sogno da inseguire.
«Non pazienti, ma atleti»
Gianluca Gallina è l’anima tecnica di Juventus One.
Allenatore e educatore, ha costruito negli anni un modo nuovo di vivere il calcio paralimpico: non come terapia, ma come sport autentico, fatto di regole, passione e disciplina.
«Io non li vedo come pazienti, li vedo come atleti» racconta.
È questa la base del metodo che ha ideato: un approccio che mette al centro la persona, ma senza abbassare l’asticella.
Ogni atleta deve sentirsi un calciatore, con lo stesso impegno richiesto a chiunque indossi una maglia.
Per Gianluca il campo è il luogo dove le differenze si trasformano in forza.
All’inizio non è stato facile: «Mi dicevano, lasciali divertire».
Ma lui sapeva che la crescita passa anche dalla fatica, dall’allenarsi davvero, dal voler migliorare.
Così Juventus One è diventata una squadra vera, dove la disabilità non è un limite ma solo una condizione da cui partire.
Oggi Gallina coordina un centro diurno per persone con disabilità adulte, continuando a promuovere la stessa idea di inclusione: non creare nicchie, ma aprire ponti verso la comunità.
Sul campo come nella vita, il suo calcio insegna una cosa semplice e potente: l’inclusione non è un gesto, è un allenamento continuo.
«Il calcio mi ha sempre dato un ruolo»
Ci sono allenatori che vivono il campo come un luogo d’incontro, non di distanza.
Mehdi Younes è uno di loro.
Nel progetto Juventus One ha portato una visione semplice e coraggiosa: giocare e allenare insieme, rompendo i ruoli tradizionali per creare un gruppo davvero unito.
Oggi è sia tecnico che atleta della squadra A, punto di riferimento e compagno allo stesso tempo.
Un modo concreto per dire che la disabilità non toglie nulla, anzi: aggiunge sguardi nuovi, profondità e umanità.
Figlio di padre libanese e madre pugliese, Mehdi conosce bene il significato della parola inclusione.
Da ragazzo ha vissuto la discriminazione e ha imparato presto quanto lo sport possa dare identità, dignità e voce.
«Il calcio mi ha sempre dato un ruolo», racconta.
È stato proprio quel senso di appartenenza a spingerlo a studiare e lavorare nello sport anche all’estero: cinque anni in Australia, dove si è formato nel management sportivo, imparando che ogni squadra è prima di tutto una comunità.
«Se non si ha un gruppo, non si va da nessuna parte» dice spesso.
Rientrato in Italia, Mehdi ha trovato in Juventus One il progetto che riuniva tutto ciò in cui crede: lo sport come spazio condiviso, la persona prima dell’etichetta, la forza del gruppo sopra ogni diversità.
Quando ha deciso di candidarsi come atleta certificato, affiancando in campo la squadra A, ha dimostrato che il confine tra educatore e giocatore può scomparire.
Allenatore, compagno e guida, dentro e fuori dal campo.
Oggi continua anche la sua attività di musicoterapeuta, ma in Juventus One ha trovato un’altra forma di armonia: quella che nasce quando undici persone si muovono insieme, con rispetto e fiducia reciproca.
Perché, come ripete sempre, «in campo, siamo tutti uguali: atleti, prima di tutto».


















