Siamo atleti
La storia di Salvatore — per tutti, Salvo — comincia a Palermo, tra le strade del quartiere dove è cresciuto.
Da bambino sognava di giocare a calcio, ma la vita gli aveva già messo davanti troppe barriere.
«Andavo ai campetti della mia città per iscrivermi, ma mi mandavano via. Dicevano che non volevano prendersi la responsabilità se mi fosse successo qualcosa.»
Non se la sentivano di accogliere un ragazzo con una disabilità.
Quello che inizia come un sogno diventa presto una ferita.
Poi arriva la perdita del padre, un trauma improvviso, che lo lascia spiazzato e solo.
«Dopo la morte di mio padre, mi sono chiuso in me stesso. Il cibo era l’unica cosa che mi dava consolazione», racconta.
Il dolore si trasforma in peso, fino a toccare 145 chili. Ma anche nei momenti peggiori, il calcio resta lì, come una voce che non smette di chiamare.
Negli anni Salvo entra in diverse comunità, da Roma alla Valle d’Aosta.
Cambia città, compagni, case. Ma una cosa resta sempre la stessa: il desiderio di tornare in campo.
La svolta arriva in Piemonte, dove incontra Marco Tealdo e il mister Gianluca Gallina
A Pinerolo nasce il primo gruppo, il Pinerolo FD, e per Salvo è la possibilità di ricominciare davvero.
«Mi dissero che per migliorare le prestazioni avrei dovuto lavorare sulla mia forma fisica, allora sono andato da un dietologo, ho seguito la dieta, mi sono concentrato su di me. E ce l’ho fatta.»
Quel momento — l’ingresso in squadra, la prima volta con la maglia addosso — segna una rinascita.
In campo trova ciò che la vita gli aveva tolto: fiducia, appartenenza.
Non più “ragazzo problematico”, ma compagno, giocatore, difensore.
Un uomo che ha imparato a trasformare la rabbia in impegno, l’energia in forza.
Da allora, Salvo è diventato uno dei punti di riferimento del gruppo.
Non solo per l’esperienza, ma per l’attenzione che riserva agli altri.
Si prende cura dei compagni più agitati, aiuta chi arriva al campo per la prima volta, è sempre pronto a dare una parola di incoraggiamento.
«Una volta ero io quello che faceva fatica a stare in squadra. Adesso sono io che aiuto gli altri a trovare il loro posto», dice sorridendo.
Oggi è uno dei volti più attivi del progetto Juventus One anche fuori dal campo: partecipa agli incontri nelle scuole, nell’ambito del progetto Juventus One @ School, dove racconta la sua storia alle bambine e ai bambini e spiega cosa significa essere parte di una squadra.
«Mi piace parlare con i ragazzi, far capire che non è vero che una persona con disabilità non può giocare.Anzi, a volte può giocare meglio di chi pensa di sapere tutto. Noi non siamo disabili. Siamo atleti.»
Lo dice con orgoglio, senza rabbia.
Perché quello che il calcio gli ha restituito non è solo la possibilità di giocare, ma la libertà di sentirsi se stesso.
E quando scende in campo, con la maglia bianconera sulle spalle, ogni cosa trova il suo posto.
«Quando gioco, non penso a niente.
Sento solo la voce dei miei compagni, il pallone che gira, il mister che chiama.
In quei momenti, capisco che tutto quello che ho passato mi è servito per arrivare qui.»
La sua forza non è nell’urlo, ma nella presenza.
Nell’allenamento che non salta mai, nel sorriso con cui accoglie i nuovi, nella frase che riassume la sua storia meglio di qualunque altra:
«Siamo atleti.»










