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Black&White Stories: i divieti di Herrera

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Black&White Stories: i divieti di Herrera
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Black&White Stories: i divieti di Herrera

In quel mutevole universo che è la comunicazione nel calcio, ogni epoca propone le sue regole e le sue consuetudini. I modi di rappresentazione sono estremamente variabili e tendenzialmente il racconto dello sport ha allargato i suoi ambiti, infrangendo la “sacralità” di alcuni territori (oggi le telecamere entrano negli spogliatoi ed è normale, un tempo era rarissimo). Senza contare che nell'era dell'informazione h24 e dei social, gli stessi attori protagonisti diventano narratori di se stessi, si filmano senza filtri, non hanno più bisogno di media istituzionali per conquistare l'attenzione generale.

In questo contesto esistono ancora tabù, zone segrete, argomenti dove è meglio cavarsela con un frasario più o meno di circostanza? Sì, non pochi, ed uno è certamente il rapporto tra calciatori e allenatori. “Decide il mister” è un classico che si sente nelle interviste ed è qualcosa di diverso da un'ovvietà (se non decidesse l'allenatore, sarebbe un evento clamoroso, a ben vedere). Far parlare un giocatore di colui che in fondo ne orienta i destini in carriera significa farlo entrare in un territorio scivoloso (anche se se la cavano piuttosto bene: un po' perché abituati, un po' perché il sapere calcistico di chi va in campo oggi è decisamente elevato e c'è sempre il ricorso all'ironia come lente per evitare possibili trappole).

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Quand'è che prevale la reticenza ed è anche legittimo che sia così? Quando le cose non vanno bene. In quei casi la soluzione più istintiva è fare gruppo optando per il famoso “fatti, non parole”, altrimenti definibile come prima otteniamo i risultati, solo dopo ci possiamo dedicare alle valutazioni o alle promesse.

Stupisce perciò – e non poco – scoprire che nel numero di marzo del 1965 Hurrà Juventus chiamasse alcuni componenti della squadra a tracciare un ritratto di Heriberto Herrera. Al suo primo anno, l'allenatore paraguaiano stava gestendo una situazione non facile, a tre mesi dalla conclusione del campionato erano già evaporate le speranze di partecipare alla lotta per il titolo. In più, la concezione del gruppo era fortemente democratica, come attestò la sua “battaglia” con Omar Sivori, considerato al pari degli altri già alla sua prima intervista: «Premetto che nessuno usufruirà trattamenti particolari»; ma la gestione quotidiana era dittatoriale, con un senso della disciplina che portava a un rigido controllo della vita privata di ognuno. Evidentemente, la curiosità suscitata dal personaggio era tale da volerne sapere di più proprio da chi lo viveva tutti i giorni.

NO AL DIVERTIMENTO

«E' un uomo coerente che non conosce attimi di flessione. Almeno sul lavoro. Ho conosciuto ed apprezzato nel tempo altri allenatori, Parola, Lorenzo per fare esempi, ma nessuno ha mai avuto tanto rispetto per la parola “allenamento”. Per don Heriberto non esiste la partitina che fa divertimento. Non c'è perché è giusto che sia così. Il giocatore di calcio - così almeno io interpreto il suo modo di pensare - è un professionista che lavora per uno stipendio e che ha l'incentivo di determinati premi. Perciò è suo dovere, al di sopra di ogni costrizione da parte di chicchessia, capire che è suo interesse rendere al massimo». A parlare così è Bruno Mazzia, uno che il campo con Herrera lo vede poco. Sembra essersi convinto della bontà dei suoi metodi, anche se il compagno Gianfranco Leoncini – che col nuovo mister invece raggiunge il massimo delle sue presenze in stagione – non nasconde le difficoltà iniziali: «Che la cosa tutto subito sia stata piacevole non posso dirlo. Anzi qualcuno ha fatto un broncio lungo mezzo metro».

NO ALLE SIGARETTE

In Italia, nel 1965, il 60% degli uomini fumava. E non stupiva sentire i calciatori confessare il “vizio” come una prassi normale. Ma anche in quel caso, c'era Herrera pronto a educare, come racconta Ernesto Castano: «Ha il dono di saperti convincere ad una rinuncia - poniamo le troppe sigarette - senza fartela apparire sotto la forma di “diktat”, anche se in effetti è poi proprio cosi». Convincendoti non per i benefici immediati, ma per quelli a lungo termine, secondo il mister riassumibili in un paio di anni in più di calcio ad alti livelli «con lo stesso passo e con lo stesso ritmo». Era questa del resto l'idea fissa di un mister famoso per avere introdotto nel calcio statico della sua epoca quel “movimiento” che anni dopo sarebbe stato considerato l'abc del gioco e non più la bizzarria filosofica di un duro sudamericano col culto della preparazione atletica.

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