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Black&White Stories:la Juve... e il calcio totale!

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Black&White Stories:la Juve... e il calcio totale!
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Black&White Stories:la Juve... e il calcio totale!

Quando si capisce l'inizio di una rivoluzione? E come vengono accolti certi segnali all'apparenza strani che denotano il possibile avvento di tempi nuovi?

Sono domande pertinenti per quanto riguarda il rapporto tra il calcio italiano e quello olandese che – a detta di tutti – ha rappresentato uno sconvolgimento delle concezioni di gioco prevalenti fino all'inizio degli anni '70. Da allora, il mondo del pallone non è stato più lo stesso: non che prima non ci fossero state stati significativi e anche profondi cambiamenti, ma la sensazione di essere entrati in una nuova era risultava ancor più approfondita dalla difficoltà nel credere possibile e praticabile ciò che stava avvenendo davanti ai propri occhi: il calcio totale.

Definibile in mille modi – altrimenti, che rivoluzione sarebbe? -, riassumibile visivamente in almeno tre situazioni che lasciavano a bocca aperta chi ne vedesse il manifestarsi: le squadre olandesi proponevano giocatori che facevano saltare la rigida consegna dei ruoli; correvano moltissimo abbinando un livello tecnico eccelso, laddove precedentemente si pensava che una cosa non potesse andare d'accordo con l'altra; infine, alzavano la linea difensiva come mai si era visto prima, facendo diventare il fuorigioco non una pura infrazione regolamentare, ma un vero e proprio principio tattico, la traduzione evidente di un atteggiamento coraggioso nell'interpretazione della partita.

C'era stata un bel po' di strada tra il 1969, quando il Milan piega in finale di Coppa dei Campioni l'Ajax con un secco 4-1 e il 1974, quando la nazionale olandese raggiunge la finale del Mondiale e l'Italia esce con le ossa rotta al girone. Nel tempo tra i due estremi, la coppa delle grandi orecchie era andata una volta al Feyenoord e tre ai lancieri biancorossi e né l'Inter, sconfitta 2-0 nel 1972, né la Juve, battuta 1-0 l'anno dopo, avevano capito molto di quell'innovazione, in buona compagnia del resto del mondo.

Come tappa intermedia, c'è il 27 gennaio 1971: il primo storico incontro tra i bianconeri e gli olandesi, segnatamente il Twente, in Coppa delle Fiere. E' troppo presto per i due club per trionfare in Europa. La Juve ci riuscirà in Coppa Uefa nel 1977 con Giovanni Trapattoni alla guida. E il mister della squadra di Enschede, Kees Rijvers, erediterà il trofeo 365 giorni, dirigendo però il Psv Eindhoven.

i tulipani

I tulipani, li definisce così Hurrà Juventusi giocatori del Twente (tra i più famosi il portiere Piet Scrijvers e i due gemelli Van de Kerkhof, Willy e René, che si metteranno in mostra nel Mondiale del 1978 incrociando come avversari molti azzurri juventini). A Torino, nella sfida giocata di pomeriggio, le alchimie tattiche le fa saltare un tedesco di esperienza pari alla concretezza: Helmut Haller (c'è sempre la Germania a “condannare” l'Olanda...).

Il gol di Haller è stato un autentico capolavoro, un razzo luminoso che ha incendiato la scena”, scrive Ezio De Cesari sul Corriere dello Sport, ripreso dal mensile bianconero. “Il tedesco è scattato su un pallone in profondità di Bettega, ha evitato un avversario e prima che qualcun altro gli si avvicinasse ha lasciato partire dal limite un “sinistro” che ha letteralmente fulminato l'annichilito Schrijvers”. Il 2-0 è opera di Adriano Novellini, mandato in campo nel corso della ripresa. Ma la vittoria nell'ambiente viene vissuta senza facile entusiasmi, si capisce che è solo la prima parte di un cammino ancora difficile. Le qualità degli olandesi hanno colpito. E difatti, al ritorno, la Juve sarà costretta ai supplementari, ci vorrà un doppio exploit di Pietro Anastasi per il passaggio del turno.

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un calcio nuovo

In quel giorno non si parla ancora di calcio totale, si è più interessati a registrare il confronto tra due formazioni molto giovani (la Juve per ragioni anagrafiche dei suoi giocatori, ragazzi che diventeranno poi i dominatori del decennio; il Twente per origine, essendo nato solo nel 1965). Però sono tante le caratteristiche degli avversari che appaiono ben riconoscibili, qualcosa in più di una curiosità e qualcosa in meno di una conoscenza approfondita. A colpire degli olandesi è il possesso palla, il tenerla e non sprecarla, tradotto nel “comando del gioco” per oltre un'ora, peraltro non immune dalla sterilità offensiva. Si sottolinea anche il 4-3-3 e anche questa è un'anomalia: in Italia, quando le concezioni tattiche venivano espresse in numeri, era l'indizio di una novità, si trovava una formula magica per sintetizzare concetti altrimenti complicati.

Infine, Armando Picchi, mister juventino, legge negli avversari anche un certo atteggiamento di superiorità, tradottosi in nervosismo “forse perché pensavano di batterci facilmente”. Ed in fondo non deve stupire: è tipico delle rivoluzioni, soprattutto in chi non è in prima fila (il Twente non sarebbe mai diventato l'Ajax, pur facendo un ottimo percorso), avere una coscienza radicale delle proprie virtù.

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